Le analisi restituiscono opinioni altalenanti sull’andamento della pandemia. Si mantiene alto l’indice di minaccia sanitaria, ma la preoccupazione per gli effetti della recessione su occupazione e tessuto imprenditoriale sono in costante crescita.
L’irruzione di Covid è stato un evento inaspettato che ha ridefinito opinioni, stili di vita dei cittadini e ha provocato un senso condiviso di vulnerabilità. Le misure per il contenimento del contagio hanno comportato cambiamenti alla sfera personale e collettiva, con profondi impatti sul clima sociale ed economico del Paese. C’è poi da considerare la percezione che ogni individuo ha dell’andamento della pandemia, che in una dimensione più ampia influisce sulla domanda interna, sui comportamenti di consumo, risparmio e investimento. In una condizione di incertezza sul futuro, il consumatore è portato a intervenire sui propri parametri di spesa e ad aumentare la propensione al risparmio che diventa elemento di rassicurazione, ma che, al contempo, frena l’economia.
Secondo i monitoraggi compiuti dalla società di ricerche Ipsos sull’opinione pubblica, il livello di minaccia percepita è un primo indicatore utile alla comprensione dell’andamento della crisi. La prima fase di diffusione del virus è stata caratterizzata da forti divisioni nel mondo politico, scientifico e nei media. In questa circostanza anche i cittadini hanno mostrato una sostanziale frammentazione tra chi riteneva che la preoccupazione fosse eccessiva e chi, viceversa, sosteneva la gravità della situazione. L’annuncio del primo lockdown ha conclamato la pericolosità del momento, da cui è derivata una presa di coscienza nazionale. L’indice di preoccupazione si è mantenuto stabile durante questa fase, per diminuire con le riaperture estive. La seconda ondata e i provvedimenti presi hanno causato una nuova crescita del timore per la curva dei contagi. La percentuale di coloro che percepiscono un rischio per il Paese sfiora l’80%, oltre il 60% teme per la propria comunità e familiari, mentre l’apprensione per la salute personale raggiunge il 45%.
Le indagini, condotte alla fine dell’anno, confermano un disorientamento sull’evoluzione della pandemia. Il sentiment delle persone si divide tra il 33% degli intervistati che ritengono che il peggio debba ancora arrivare e quanti pensano di essere all’apice dell’emergenza (44%).
Con la ripresa di Covid, solo l’8% degli italiani crede che la fase più dura sia passata (5% rispetto al 51% registrato al termine del primo lockdown). Basti pensare che l’uscita da questo periodo di marcata difficoltà è stimata mediamente entro l’autunno 2021, ma per un quarto della popolazione la soluzione appare più dilatata, superando l’anno o addirittura diversi anni. Solo il 10% è convito che si possa concludere entro la primavera.
Alle tensioni legate alla tutela della salute si aggiunge una forte apprensione per la recessione economica che raggiunge quota 57% e supera in chiusura d’anno il timore per il contagio, che si attesta al 43%.
Due persone su tre, nei prossimi mesi, si aspettano gravi conseguenze in termini di cambiamenti nel tenore di vita, di perdita di posti di lavoro o dei risparmi accumulati. Le analisi mostrano una ripartizione della crisi in due tempi, in cui alle circostanze di maggiore criticità in ambito economico e sanitario, si affiancano anche fenomeni positivi di carattere sociale che possono rappresentare elementi costruttivi per il futuro.
Con la prima ondata è stato riscoperto un senso di interdipendenza. Dopo due decenni, caratterizzati da una netta accentuazione della dimensione individuale a scapito della percezione allargata di appartenenza alla collettività, la pandemia ha ridotto questa asimmetria, creando consapevolezza e connessione tra i comportamenti dei singoli e i conseguenti riflessi sulla società. Il rispetto delle regole e delle misure richieste nelle fasi più acute ne è un caso.
Il ruolo del pubblico ha riacquisito centralità, nella sua accezione di rappresentanza e tutela degli interessi condivisi dalla maggioranza. A cui si aggiunge il valore della competenza e della delega, cioè l’importanza di avere una cabina di regia in grado di assumersi le responsabilità e di prendere decisioni in un contesto di concertazione sociale.
Altro elemento è la ridefinizione del tempo. «L’immediatezza», spiega Nando Pagnoncelli, presidente di Ipsos, «ha lasciato spazio alla necessità di avere una programmazione e progettualità di medio-lungo termine per contenere efficacemente gli effetti di Covid». Nella situazione di difficoltà il Paese ha inoltre saputo valorizzare il capitale sociale con azioni di solidarietà: dalle riconversioni produttive alle donazioni da parte delle aziende, dalle raccolte fondi al volontariato.
Il cambio di rotta si è presentato con la seconda ondata. Negli ultimi mesi del 2020 sono prevalsi sentimenti di incertezza, ansia e sospensione. La coesione ha lasciato spazio al riaffiorare di particolarismi e fratture sociali sovrapposte e interconnesse. Differenze tra garantiti e non garantiti, tra abbienti e non abbienti, tra smart workers e non hanno fatto emergere tensioni e recriminazioni nei confronti delle istituzioni, delle organizzazioni sociali, di tutto ciò che è “altro”.
Come contenere quindi il ritorno a divisioni nette? A partire dalla fotografia scattata dall’istituto di ricerche, vengono individuate alcune questioni fondamentali, la cui affermazione richiede l’impegno sostanziale soprattutto da parte di chi è chiamato a guidare il Paese.
La prima riguarda i tempi di azione. «In questo momento è necessario operare su tre frazioni temporali distinte», continua Pagnoncelli. «Servono interventi rapidi per supportare le categorie che manifestano un maggior disagio e difficoltà. Seguono provvedimenti di medio periodo, che corrispondono ad azioni volte a sostenere gli attori del tessuto economico.
Infine, risulta centrale uscire da strategie di immediatezza, fondate su politiche del consenso, per avviare un piano strutturato di riforme e superare i nodi strutturali che caratterizzano l’Italia». Emerge chiaramente l’esigenza di operare con un metodo concertativo, che non si esaurisce nell’ascolto delle parti politiche, economiche e sociali, ma richiede un coinvolgimento attivo di esse nei processi decisionali, alla ricerca di un grande patto sociale.
È indispensabile raccogliere anche il punto di vista delle aziende, soffermandosi su aspettative, timori e pericoli avvertiti. L’Osservatorio imprese e Covid, realizzato da Ipsos in collaborazione con Intesa Sanpaolo, Adecco e Criet – Università Bicocca, ha analizzato la reazione delle imprese all’emergenza coronavirus.
Dal campione, composto da 450 società italiane e straniere che operano sul territorio nazionale, è risultato un sostanziale bilanciamento tra rischi e opportunità per il futuro. Il 35% ritiene che verranno individuati piani per il rilancio. Di contro il 38% afferma che la crisi diffusa avrà impatti estremamente negativi.
Se da un lato, il 56% degli intervistati avverte che ci sarà una grande attenzione per i costi, dall’altro, il fattore innovazione risulta primario per il 62% delle imprese, in termini di tecnologie, processi produttivi e modalità di distribuzione. Due aziende su tre sentono il bisogno di sviluppare nuove modalità di comunicazione. Quasi la metà delle imprese si concentrerà sulla creazione di valore e sulla condivisione dell’impegno sociale, dedicando più spazio al racconto di marca e alla relazione empatica con il consumatore. Nonostante il periodo incerto, il 54% del panel vede margini di miglioramento per il proprio business, che risiedono soprattutto nella digitalizzazione, nella possibilità di innovare il mercato e di lanciare nuovi prodotti e servizi.
La sostenibilità rappresenterà un tassello fondamentale di sviluppo. Oltre la metà delle aziende ritiene che si debba essere attivi in questa sfida e il 60% conferma di non aver rimandato gli investimenti. Per il 18% bisogna aumentare l’enfasi sulla sfera ambientale, mentre per il 14% su quella sociale. Questa attenzione è manifestata anche dal 65% dell’opinione pubblica mondiale, che crede in una ripresa economica “verde” dalla crisi di Covid-19, considerando la sostenibilità come fattore di progresso piuttosto che come freno alla crescita.
«Per affrontare il contesto attuale», sottolinea il presidente di Ipsos, «il mondo delle imprese dovrà riflettere sul significato di coesione come fattore di competizione ». Come il cittadino ha riscoperto un significato più articolato di collettività, anche le aziende si trovano di fronte a una visione allargata del proprio ruolo nella costruzione di valore nel Paese. «Quando si parla di pre-competizione », conclude Nando Pagnoncelli «significa che le aziende leader hanno la responsabilità di guidare il proprio comparto e porre le basi per cambiamenti vantaggiosi, senza logiche di concorrenza agguerrita. Anche se i due concetti, possono risultare distanti e contrastanti, le imprese in grado di fare sistema, di creare un legame esteso con la filiera, le comunità, le istituzioni, i consumatori e il terzo settore beneficeranno di una performance economica migliore».